Roberto de Caro: nota critica in occasione della partecipazione di Alberto Beneventi al Concorso La Fenice et Des Artistes di Venezia (2005)
“Mi piace rischiarare nelle tenebre l’autunno senza foglie
delle vostre anime.”
Sergej Esenin
Il cielo, l’orizzonte, il mare: il flusso di coscienza lacerato dalla spietata colatura sul bianco della tela a devastare un tema ricorrente della pittura di Beneventi. Le campiture liminari, funestate dalla paradossale violenza ctonia degli smalti neri e blu, a segnare drammaticamente la soglia frastagliata di una costa minacciosa, gravida di crudele improbabilità e pur tuttavia irrinunciabile all’umano. Maree è un quadro forte, duro. È canto di tragedia essenziale, nemica irriducibile di mediazioni mitopoietiche, pronta a rispondere della Storia, da cui catastroficamente dipende. Imprigiona il respiro, l’opera: pretende l’inabissarsi emozionale, empatico, nel dramma del presente. Si avverte profondo il semantema di Rothko e di Pollock: una lezione mai risolta in omaggio però. E tantomeno in citazione tecnica o formale. È invece consapevole, irrevocabile assunzione di responsabilità la raccolta di un testimone irrimediabilmente segnato dall’ecatombe bellica e per ciò stesso fraterna espressione del coraggio etico di assecondare – al limite (violato) del sacrificio di sé – l’imperativo categorico di un’arte che non arretra di fronte al suo compito più grave, al più importante degli ubi consistam: la critica radicale dell’esistente.
Esposizione La Fenice et Des Artistes di Venezia, novembre 2005