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Michele Fuoco: “Nel flusso infinito del mutare dell’esistenza.”

Dal catalogo della mostra al Centro Espositivo
Mobalpa di Parigi (2011).

 

Una pittura che concretizza un sentimento, un’aspirazione, un pensiero. Ma soprattutto un sogno, quello che l’arte, rompendo i rigidi schemi tra figurazione e astrazione, riesca ad acquistare valore per la sua autonoma rappresentazione. Su questo principio si fonda l’opera di Alberto Beneventi che non sostiene una leggibile definizione della realtà, ma una propensione creativa disponibile a verificare una diversità di scelte linguistiche in una complessità di temi. L’opera dell’artista di Pavullo avvera il riconoscimento del valore d’indipendenza della creazione, pur facendosi portatrice dell’esperienza del reale. Si può dire che il linguaggio è, in ogni caso, in funzione dell’esperienza da comunicare ma, sciolto da ogni costrizione, si affida alla sorpresa attraverso un tripudio cromatico che sa evocare soprattutto la vita pulsante sotto la superficie apparente di ogni cosa.

E’ sempre vigile la coscienza del dipingere, per questo la sua gestualità, che irrompe sulla tela, è piuttosto controllata, anche se l’opera pare obbedire ad un perenne stato di impulsi, di slanci, di passione. Si assiste ad una sintesi di mutazioni delle forme che infrangono le tradizionali regole di rappresentazione per registrare i brividi del divenire della multiforme esistenza.

Persino le case, riescono a sorprendere e a manifestare molti aspetti segreti dell’esistere, in quanto le forme, pur nel recupero disciplinare dell’insieme, si offrono come selezione dell’immagine per determinare i segni delle mutazioni, della precarietà, un sottile senso di evanescenze delle cose care che riescono ancora a mantenere un prolungamento di ricordi.

All’artista interessa una struttura plasticamente forte, di polifonia cromatica, che si edifichi per crescita di emozioni, di impulsi, di partecipazione affettiva e di passione conoscitiva, mantenendo viva l’intima tensione germinale dell’immagine. Il che avviene con un ordito di colori ad acrilici, smalti e materiali eterogenei che sostanziano il quadro per un massimo potenziale di linguaggio di tessiture e stratificazioni informali e dinamiche, per raccontare le ferite del tempo sui muri, con il loro destino di marginalità e di silenzio, quel senso di dolore e di speranza che corre nel cuore degli uomini migranti, che solo l’arte, come la vera poesia, può cogliere come autentivo “sentimento” nella sottigliezze cromatiche del mare, dell’orizzonte e del cielo. L’artista dà possibilità narrative a ciò che egli raffigura, stabilendo un felice intrattenimento con l’immagine. La pittura materica sembra muoversi in vortici di vita, in un tumulto di sensi, estendersi su un mondo che l’artista fa proprio, conferendogli un segno forte, un colore che sposi pure l’esuberanza della natura. Quella natura, come in “Spighe di grano con paesaggio”, che Beneventi vive intensamente nella terra natale e nutre sulla tela di palpiti con accensioni cromatiche e una sazietà di ritmi e di forme, per aprirla ad un’intima fascinosità, ad una segreta percezione di elegia.

La capacità di esistenza e di significato dell’immagine si misura nell’energia interna del colore e dei segni, dalla loro combinazione, da un peculiarissimo gioco di abilità e di azzardo per catturare la sostanza del visibile e dell’invisibile. Certo, il mondo della rappresentazione ha una varietà estrema, per questo occorre allargare il ventaglio degli elementi generatori dell’immagine. E ciò accade perché l’artista sa ritrovare la stupefacente gioia del fare con una pittura, dove il piacere dell’invenzione si accende di continuo. La vivace pennellata formula sulla “pagina”, con cadenze dinamiche come flusso di pensieri e di emozioni, presenze reali ed enigmatiche insieme in incroci immaginativi. Incontri straordinari, con un colore di sostanza emotiva capace di percepire e registrare in guizzi di luce persino i più lievi soffi di esistenza, e con segni che si innestano all’interno dell’umoroso tappeto cromatico, per dare maggiore forza al senso della germinazione dell’immagine che reca, con il carattere di rivelazione inattesa, il pathos dell’essere e del divenire delle cose. E quelle cose toccano, con gioia e spavento, intimamente l’artista che cerca di prolungare il più possibile il flusso infinito del loro mutarsi, la fugacità che le divora senza posa, combinando, in un patto di mutua salvezza, le differenti materie della pittura, in una struttura di totalità armonizzante. Non c’è presenza umana in questi quadri. Eppure non si può negare all’opera di Beneventi una meditazione sulla vita dell’uomo e sulla sua caduca natura, per la capacità di cogliere, in lunghi silenzi meditativi, le voci della multiforme esistenza, sottraendole al buio, ai luoghi dell’oblio.

L’esperienza estetica si fa, in una coincidente unificazione della pluralità del sapere e in una trama di relazioni di voluttuoso incanto, esperienza di vita, indicando che l’artista vive la sua opera e nella sua opera.